Plutarco nella sua opera Moralia ci dice: "il più tecnico e il più astuto degli agoni atletici", infatti la lotta, in greco Pale, era la disciplina che rappresentava al meglio l'equilibrio tra intelligenza e forza. È il primo agone da combattimento ad essere ammesso alle antiche Olimpiadi nel 708 a.C. Non esistendo nè punti, nè tempi e nè materassina per competere e aggiudicarsi la vittoria, l'apparato tecnico era diverso dalle lotte attuali. Per vincere bisognava atterrare tre volte l'avversario, il triazein, facendogli toccare con qualsiasi parte del corpo, eccetto le mani e le ginocchia, la sabbia. Fare toccare al suolo le ginocchia dell'avversario o effettuare una proiezione facendo leva sulle ginocchia, non costituivano un divieto, ma era molto pericoloso perchè facilmente la situazione poteva essere ribaltata a causa dell'instabilità della posizione, non a caso la differenza tra orthepale, la lotta eretta e katopale, la lotta al suolo, sulle ginocchia, era fondamentale. Ancora oggi la metafora della caduta in ginocchio, dell'essere in una situazione vicino alla sconfitta è proverbiale .
Per vincere l'atleta cercava non solo di far toccare le spalle o la parte posteriore del corpo dell'avversario al terreno, ma poteva sia strangolarlo o anche rompere gli arti o le dita, cercando la sottomissione dell'avversario, ma anche aggiudicarsi la vittoria costringendolo a toccare lo stomaco sull'arena senza proiezione. Questa tecnica vincente, che non esiste nel panorama delle lotte moderne olimpiche attuali, in antichità era tra le più ambite: perdere subendo il bloccaggio della parte frontale del corpo sul terreno era giudicato umiliante; Stazio nel libro VI del poema epico Tebaide, ci descrive questa tecnica: "Allora Tideo lo tiene un pezzo in alto, poi lo piega sul fianco, e con la mano lo spinge, e a terra lo fa cadere disteso, e sopra di lui, che giace, egli si getta, e con la destra la cervice, e il ventre con le ginocchia a lui calpesta e preme. Oppresso lui langue, e lui ancora resiste, per vergogna resiste; alla fine confitto con la faccia e con il ventre sul terreno, tardo e dolente si rialza, e lascia l'impronta vergognosa sulla sabbia."
Filone di Alessandria ci dice: "si può lottare anche premendo con forza il viso", la lotta prevedeva anche molte durezze, strane alla visione moderna, come quella di pressare, schiacciare (non raschiare) con le mani il viso dell'avversario per creare dolore e deconcentrarlo. Si poteva anche vincere, difficilmente, facendo delle leve in posizione di lotta orizzontale, la stadaia pale, cercando di rompere le braccia, il collo o le dita dell'altro atleta in modo da far ritirare l'avversario. Ma forse la durezza maggiore della lotta antica era quella che la vittoria andava a chi proiettava o bloccava al suolo l'avversario per tre volte. Senza limiti di tempo e di punteggio, con l'aggiunta dell'olio di oliva sulla pelle che rendeva viscidi e sfuggenti gli atleti, gli incontri potevano durare parecchio tempo e arrivare alla quota di tre doveva essere veramente stancante e faticoso. Inoltre chi riusciva a mettere in fila tre atterramenti senza riceverne uno era denominato Triakter: vincitore dei tre, ma anche eroe della gara infatti vincere in questo modo era denominato Aptos "senza cadute" ed era ritenuto un atleta che non aveva subito nessuna umiliazione.
Gli atleti iniziavano la gara in posizione di guardia, la famosa systasis, dal greco "stare insieme", e dopo aver incominciato ad incrociare i loro arti superiori intrecciandoli, in greco periplekein, subentravano le pressioni di testa e le prese del corpo, come ci rammenta il poeta greco Nonnus di Panopoli nella sua Le Dionisiache: "Entrambi gli atleti iniziano avvinghiando entrambe le mani ai polsi, e cambiando velocemente le prese agli stessi polsi, e trascinandosi l'un l'altro su tutta la superficie sabbiosa, le dita bloccate nella stretta della mano. Un uomo si aggancia intorno al corpo dell'altro uomo che con una mano si appoggia su un lato del corpo , trascinando e trascinato, entrambi sono legati insieme dalle loro mani. Curvano il loro collo e spingono con la testa premendo con la fronte, inclinandosi, nessuna delle due parti riescono a piegare a terra. Da loro fronti cade il sudore, inizia la fatica, incominciano le proiezioni".
La lotta aveva i fulcri nelle prese al collo trachelizein, ai polsi e al tronco. Quest'ultima denominata meson echein, "prendere nel mezzo", era il perno principale per effettuare le numerose tecniche che seguivano. Per proiettare al suolo venivano in aiuto anche gli sgambetti, gli ankyrzein che nello stesso termine trovano il significato implicito di "uncinare", "agganciare con un uncino", che ci spiega chiaramente che non erano proprio degli sgambetti, ma delle vere e proprie "prese" con i piedi ed effettuarle nella skamma, la parte affossata della palestra ricoperta di sabbia, doveva essere molto complicato per la forte stabilità che dava la stessa sabbia ad ogni posizione.
Gli eventi di lotta si ebbero per più di un millennio, i suoi sviluppi tecnici e metodologici durante la sua lunga storia furono complessi e articolati. Gli ultimi eventi ufficiali si hanno nel V sec. d.C. qualche decennio dopo l'abolizione degli antichi giochi olimpici.
Foto: dettaglio di vaso attico psikter a figure rosse con allenatore che indica la giusta tecnica a dei lottatori, 520-515 a.C. da Orvieto, Museum of Fine Arts, Boston.