IL FIATO DEL LOTTATORE
Per un atleta la respirazione è importante, per un lottatore ancor di più perchè è la base stessa della propria disciplina: senza “fiato” il lottatore non può lottare.
Chiunque abbia effettuato un pò di lotta, anche per gioco, si sarà subito accorto come dopo pochi minuti di "avvinghiamento", i polmoni incominciano a richiedere affannosamente altro ossigeno, il corpo si indebolisce e la vista incomincia ad offuscarsi.
Atleti di altre discipline, con muscoli potenti e grossi, molto “vanitosi”, sottovalutando l’abitudine al “fiato” dei lottatori, nei primi allenamenti di lotta, rimangono di stucco quando dopo pochissimi attimi, la loro forza svanisce, lasciandoli in quello stato di “stallo” che è ciò che hanno sempre osteggiato, perchè mostra tutta la debolezza fisica e l’umiliazione di essere sottomessi da se stessi.
Ma esiste anche un altro tipo di rammarico che nasce dalla constatazione che in natura, la maggior parte di animali, nella fase di lotta, instintivamente modula la propria respirazione per trarre vantaggio da ogni particella di ossigeno. La loro abitudine allo sforzo è molto più accentuata dell’uomo, che a causa della sua sedentarietà e della sua evoluzione sociale, ha ormai poca abitudine a tale "sofferenza" fisica. Ecco perchè l’allenamento ad ogni forma di lotta porta a riappropriarci di quella corporeità animale ed istintiva, che incosciamente ogni essere umano desidera.
Ma come abituare il corpo a respirare da lottatore?
Per i lottatori alle “prime armi” alcune “riprese” di un paio di minuti, incominceranno ad abituarli allo sforzo temporale che in lottatori esperti si prolunga a decine di minuti. Molte lotte indigene o auctotone hanno tempi veramente prolungati per la concezione di un novizio o di un non esperto, come ad esempio nella lotta turca, la Yağlı Güreş, dove c’è un unico round della durata di 40 minuti, o il Kushti, nelle varie versioni, da quello iraniano fino a quello indiano, dove l'unica ripresa di 30 minuti può essere estesa a 45 minuti senza intervallo. E quando si lotta il tempo magicamente rallenta e pochi minuti possono sembrare un eternità.
La lotta per i motivi descritti è uno degli sport dove si richiede maggiormente la preparazione alla respirazione forzata prolungata. Entrambi i livelli di aerobicità e anaerobicità vengono richiesti durante questo tipo di impegno fisico.
Il lottatore esperto riesce, durante le fasi di mantenimento di posizioni “vigili” e “stabili”, ad effettuare una respirazione rilassata, per passare seguentemente nelle fasi di prese di forza e potenza, ad una respirazione ultra-forzata. Il sibillio che in questi attimi produce un piccolo stridore ansimante, ha sempre attirato l’attenzione del pubblico, degli spettatori e di tutti gli uomini che assistevano ed assistono ad un incontro di lotta. Non per caso il grande scrittore greco, Filostrato, nel I sec. d.C., nel vedere i lottatori in allenamento per la preparazione ai giochi olimpici, scrive: "il loro respiro è affannoso come gli orsi mentre lottano".
Questo ansimo viene prodotto perchè il lottatore, quando incomincia lo sforzo, abbandona la respirazione nasale e inizia quella con la bocca. Questa, poco aperta, perchè in tale posizione si aiutano alla contrazione i muscoli del collo, che in un lottatore svolgono una parte importante, e dei tendini della mandibola inferiore, che vengono anch’essi contratti e pronti a chiuderla per sostenere qualche rapido strangolamento, leva o pressione, con il proprio capo o dovuto alle prese o alle spinte dell’avversario. Ma la cosa più importante è che tale sforzo ansimante, con l’aiuto della pressione del diaframma, porta a sfruttare tutto l’ossigeno presente nei polmoni e a controllare, in una situazione anche di sforzo mentale, la periodicità dell’inspirazione ed espirazione.
Con il tempo il lottatore abituerà e allenerà se stesso a respirare non con l’allargamento della cassa toracica, ma con l’alzamento e l’abbassamento proprio del diaframma. Questa è la respirazione istintiva naturale animale. Se uno osserva un bimbo di qualche anno, non ancora “plagiato” dalla razionalità culturale, noterà immediatamente che non respira come fanno normalmente gli adulti ma ha una respirazione addominale.
Ma anche su di noi, possiamo osservare che in qualsiasi fase di sforzo inconscio o di pericolo, come il combattere per la vita o scappare da un evento traumatico, il nostro corpo ritorna istintivamente a respirare con quel tipo di respirazione.
PS - l'articolo è stato pubblicato da Davide Ferro, istruttore di Muay Thai, Pad Man come lui stesso si definisce, in alcune delle più rinomate scuole di MMA profesionistica in USA, Korea del Sud, UK, e per questo profondo conoscitore delle MMA a livello mondiale.
Studioso delle arti del combattimento antico, esperto di arte antica, attivo collaboratore scientifico del British Museum proprio per la sua particolare attitudine nel leggere ed interpretare la dinamicità di immagini ferme di sculture e dipinti di lottatori dell'epoca antica. In ultimo, è stato lui a portare la Muay Thai a Bari direttamente dal Pinsinchai Camp di Bangkok e ad appassionare alcuni di noi. E' stato uno dei primi in assoluto ad anticipare il fenomeno dell'MMA quando in Italia cimentandosi nello "Street Fight", come allora veniva chiamato, considerato dai tradizionalisti troppo violento.